Étienne de La Boétie è famoso soprattutto per la sua opera "Discorso sulla servitù volontaria", nota anche con il titolo "Contro uno". Il filosofo scrisse questa opera a 22 anni, ma alcuni sostengono che l'avesse scritta anche prima, forse ad appena 18/20 anni.Si tratta di un breve testo che consta di circa trenta pagine. Questo testo costituì un punto di riferimento inizialmente per
l’opposizione calvinista alla monarchia cattolica, successivamente per la
opposizione contro l’Ancien Régime che scaturì nella Rivoluzione
Francese; più tardi per la protesta repubblicana contro la
Restaurazione attuata al congresso di Vienna, e infine per la politica
socialista e
rivoluzionaria dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori.
La carica libertaria del Discorso è stata dunque
utilizzata per la critica di regimi tra loro molto diversi, dalla monarchia
feudale fino allo stato borghese liberale, testimoniando così di conservare la
sua validità in ogni tempo, rivolgendosi contro la tirannia in sé, indipendentemente
dal contesto storico.
Il Discorso si fonda sull’idea che la tirannia non sia imposta, ma
consensualmente accettata dal popolo, il quale si pone in una
condizione di servitù volontaria, ossia
accetta volontariamente di sottomettersi al tiranno. Secondo La Boétie, accanto al naturale e innato
desiderio di libertà, vi è nell'essere umano anche un celato di desiderio di asservimento.
«È davvero sorprendente, e tuttavia così comune che c’è più
da dispiacersi che da stupirsi nel vedere milioni e milioni di uomini servire
miserevolmente, col collo sotto il giogo, non costretti da una forza più
grande, ma perché sembra siano ammaliati e affascinati dal nome solo di uno,
di cui non dovrebbero temere la potenza, visto che è solo, né amare le qualità,
visto che nei loro confronti è inumano e selvaggio. […] Questo tiranno solo, non c’è bisogno di combatterlo, non
occorre sconfiggerlo, è di per sé già sconfitto, basta che il paese non
acconsenta alla propria schiavitù. Non bisogna togliergli niente, ma non
concedergli nulla. Non occorre che il paese si preoccupi di fare niente per sé,
a patto di non fare niente contro di sé. Sono dunque i popoli stessi che si
lasciano o piuttosto si fanno tiranneggiare, poiché smettendo di servire ne
sarebbero liberi. È il popolo che si assoggetta, che si taglia la gola e
potendo scegliere fra l’essere servo e l’essere libero, lascia la libertà e prende
il giogo; che acconsente al suo male. […] Colui che tanto vi domina non ha che due occhi, due mani, un
corpo, non ha niente di più dell’uomo meno importante dell’immenso ed infinito
numero delle nostre città, se non la superiorità che gli attribuite per
distruggervi. Da dove ha preso tanti occhi, con i quali vi spia, se non glieli
offrite voi? Come può avere tante mani per colpirvi, se non le prende da voi? I
piedi con cui calpesta le vostre città, da dove li ha presi, se non da voi?
Come fa ad avere tanto potere su di voi, se non tramite voi stessi? Come
oserebbe aggredirvi, se non avesse la vostra complicità? Cosa potrebbe farvi se
non foste i ricettatori del ladrone che vi saccheggia, complici dell’assassino
che vi uccide e traditori di voi stessi?».
Come è possibile, si chiede La Boétie, che gli uomini accettino di sottomettersi a un tiranno?
Porsi questa domanda, conduce La Boétie ad
allargare il concetto di tirannia. Tiranno non è semplicemente l’Uno
della monarchia
assoluta, ma qualsiasi corpo politico che elimini il carattere pubblico
del potere per utilizzarlo in modo da imporre agli altri la propria volontà ed
i propri interessi; indipendentemente dal modo in cui questo potere è ottenuto,
fosse anche attraverso il suffragio popolare.
La Boétie elenca i mezzi attraverso i quali viene suscitata la volontà di servire, per
ottenere il consenso necessario ad ogni regime.
Il primo di questi mezzi è l’abitudine. «È
incredibile come il popolo, appena è assoggettato, cada rapidamente in un oblio
così profondo della libertà, che non gli è possibile risvegliarsi per
riottenerla, ma serve così sinceramente e così volentieri che, a vederlo, si
direbbe che non abbia perduto la libertà, ma guadagnato la sua servitù».