venerdì 7 novembre 2014

Creatività, un urlo dell'anima

Edvard Munch, L’urlo
Parlando di creatività si può dire di tutto. Ogni cosa può rientrare nell’argomento e tutti oggi ne parlano. Il rischio è quello di di essere banali. E se questo si verifica, crolla ogni fondamento! Infatti, per definizione, la creatività è in netta antitesi con la banalità.
Cercherò, in questo articolo, di presentarvene alcuni aspetti, e in altri arriverò a una parte più pratica relativa agli esercizi per sviluppare il pensiero creativo.

Di fronte alla richiesta di una definizione di creatività, ogni giorno ne darei una diversa e non con voluto intento, ma con la difficoltà di fissare entro determinati argini qualcosa di fluttuante e impalpabile.
Ogni giorno, percepisco la creatività in varie modalità e secondo diversi aspetti. Ognuno di questi non è in antitesi con gli altri, ma ne coglie un’altra sfaccettatura e tutte insieme formano un’immagine in perenne movimento.
Questa immagine mentale, rappresentativa della creatività, come tutto ciò che è in movimento, si spinge verso una forma astratta e incompiuta. È qualcosa di simile all’onda del mare che, con tutta la sua impetuosità, è mossa da una forza inarrestabile.
Dietro l’onda creativa c’è sempre la forza dell’impegno profuso e la capacità di rimandare le gratificazioni.
L’Eureka di Archimede, nello scoprire che un corpo immerso nell’acqua sposta una quantità di liquido pari alla sua massa, non è una lampadina che si accende nel buio della non conoscenza. Rappresenta, invece, l’illuminazione che giunge dopo anni di studi condotti con perseveranza.
Da qui, il modus dicendi ”la creatività non è ispirazione, ma traspirazione”.
Se pensiamo, poi, al lavoro di Alexander Fleming, al sudore possiamo aggiungere anche le lacrime. Infatti, nel suo laboratorio, ancora prima di scoprire il potere antibiotico della muffa, scoprì che le lacrime contengono una sostanza antibiotica naturale che battezzò Lisozima (le sue lacrime caddero su un vetrino dopo ore ed ore di lavoro, portandolo così alla coperta).

Da questo risulta evidente che la capacità di produrre idee e trovare soluzioni innovative è strettamente correlata alle competenze raggiunte in un determinato ambito.
In questo caso, ci stiamo riferendo alla creatività di pensiero e non alla creatività artistica che, presa a sé, sarebbe più corretto definire “originalità espressiva”.

Riguardo alla creatività di pensiero è opportuno, per maggiore chiarezza, fare ancora una distinzione fra:
creatività quotidiana che è la capacità di trovare soluzioni per migliorare la propria quotidianità;
creatività eccezionale, quella di alcuni individui che grazie alle loro innovazioni hanno cambiato la quotidianità di molte persone (Leonardo, Guglielmo Marconi, Albert Einstein, …).
Ma rimanendo nell’ambito della creatività quotidiana, raggiungibile da tutti, vorrei precisare che essere creativi è uno stato mentale, forse anche una condizione dell’anima, al di là delle doti eccezionali appannaggio di pochi eletti.
Ieri vi avrei detto che essere creativi significa avere la capacità di lasciarsi trasportare. Non dalle nuvole in una modalità di pensiero svagata e inconcludente, perennemente sognatrice al di là della fattibilità; meglio identificarsi con le onde del mare, imperiose e instancabili, che poi s’infrangono sulla terra ferma, con apparente leggerezza.

Oggi, vi potrei dire che essere creativi significa saper ridere.
Bisogna saper vedere l’altra faccia di ogni cosa, riuscendo a coglierne anche il lato umoristico che rende più dinamico il pensiero e più reattiva la mente.
Creatività e umorismo hanno in comune il repentino cambio del punto di vista.
Guardando le cose da un’altra angolazione, la scena cambia completamente. Da qui scatta la risata o, in altri contesti, l’idea innovativa. Inaspettatamente.

Per alimentare la creatività e seguire il pensiero creativo che è in ognuno di noi, è importante essere aperti a nuove vie, considerando l’opportunità di abbandonare la strada più battuta per intraprendere un percorso alternativo.
Questo percorso potrà essere un piccolo sentiero, con molte incognite, ma, con una dose di pragmatismo che stempera la fantasia pura, si potrà valutare se le mete che si prospettano sono raggiungibili e rispondenti agli obiettivi.
In altri casi, il percorso alternativo non sarà neppure un piccolo pensiero, ma una terra ancora da battere. Ecco che l’impresa potrà essere ancora più entusiasmante, perché costituirà un viaggio dove tutto è ancora da scoprire!
A questo proposito vorrei dire che, anche nel mondo animale, dove le azioni sono guidate dall’istinto più che da una progettualità, esiste la creatività, ma c’è una sostanziale differenza: per gli animali la creatività è sopravvivenza, per l’uomo la creatività è sfida!
E la sfida più bella è quella con se stessi! Quella che impegna mente e corpo in un’impresa per il puro piacere di farlo, motivati solo dalla passione e non da un compenso economico. Lontano, quindi, dalle competizioni che finiscono per uccidere la creatività o per farne perdere il senso più autentico.
Andiamo per un istante a Leonardo, genio versatile in ogni disciplina, per comprendere il senso di incompiutezza della creatività – che non è in contraddizione con la pragmaticità che permette l’attuazione dei progetti – ma che ne definisce il suo essere in divenire, procedendo via via lungo un percorso evolutivo.
Il cosiddetto “complesso di Leonardo”, il grande genio per eccellenza che si lanciava continuamente in nuove opere lasciando incomplete le precedenti, spiega l’eterno senso di incompiutezza della creatività. Come se la conclusione di una ricerca, di un’impresa, di un’opera, si accompagnasse in modo stonato alla sconfinatezza dell’onda creativa che l’ha generata.

L’estro creativo ha un’avversione per i luoghi comuni, una riluttanza ai percorsi predefiniti, una propensione alla fuoriuscita dal greto.
Sempre più frequentemente i giovanissimi dimostrano un basso profilo creativo. Si adeguano alle convenzioni scaturite dalle tendenze del momento, vestono secondo schemi dettati dal loro gruppo di appartenenza e usano un linguaggio stereotipato.  Come abbiamo detto, la creatività trova terreno fertile in una situazione dove si genera un cambiamento del punto di vista, ma c’è un altro cambiamento che favorisce lo spunto creativo. Si tratta della variazione dello stato dell’umore. Sono molto frequenti i casi in cui, dopo un periodo di depressione o un momento statico e silente, privo di idee brillanti, il cambiamento dello stato emotivo portato dal superamento del dolore o da una gratificazione, genera un’intensa fase produttiva.

Riguardo all’accostamento genio/follia, che nella tradizione ha correlato la genialità a un disequilibrio psichico, lo psichiatra e criminologo Cesare Lombroso si dedicò molto allo studio di persone talentose in campo artistico, con un trascorso difficile segnato dalla malattia mentale.
Oggi sappiamo che la correlazione riscontrata tra genio e sregolatezza, è data dalla trasposizione del dolore psichico verso nuove e originali modalità espressive.
Di questo ne parlò molto anche Freud che, indagando le motivazioni della creatività, ne mise in luce la componente inconscia e psicopatologica. Per Freud la creatività è una risposta positiva a un bisogno frustrato o a una sofferenza, rimossi.
Ma allontanare gli eventi dolorosi affossandoli causa nevrosi; infatti il malessere della psiche nasce quando nell’inconscio si seppelliscono sofferenze che poi tornano a riaffiorare in altra forma: compulsioni, ossessioni, manie, etc.
La creatività rappresenterebbe, quindi, la sublimazione di energie scaturite in situazioni dolorose e il loro ri-orientamento in una direzione produttiva.
Per concludere, con un’altra definizione, vi potrei dire che essere creativi significa aver trovato la giusta sfida alla sofferenza!

© Rossana d’Ambrosio - art. pubblicato su Vivacemente3 periodico registrato al Tribunale di Torino
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