Olio su tela dell'artista Angelo Barile |
Il mito della bellezza nelle fiabe classiche ha sempre avuto un grande rilievo. Basti pensare a quante fiabe hanno inneggiato alla bellezza soprattutto quella femminile.
• Cenerentola, Biancaneve e i sette nani, La bella addormentata (fiabe della cultura popolare rielaborate dai fratelli Grimm),
• Il principe ranocchio (fratelli Grimm),
• La bella e la bestia (Perrault),
• La sirenetta, Il brutto anatroccolo (Andersen)
• La danza degli gnomi, Piumadoro e Piombofino (Gozzano)
In queste fiabe, la bellezza è sempre stata rappresentata attraverso canoni classici, ben definiti, che hanno generato stereotipi radicati e difficili da combattere. Si pensi al binomio “bella e buona”, “brutta e cattiva”, come nel caso di “Cenerentola”.
Differentemente, in “Biancaneve” troviamo una donna, la matrigna, che nel contempo è bella e cattiva. Ma la sua bellezza tenderà a deteriorarsi e parallelamente crescerà la sua cattiveria.
Nelle fiabe classiche i protagonisti sono quasi sempre belli e se non lo sono, per affermarsi, lo dovranno diventare come accade nella fiaba de “Il Brutto anatroccolo”.
Nella fiaba “Piumadoro e Piombofino” la protagonista è bellissima, bionda, povera, orfana e vive con il vecchio nonno carbonaio. Durante la pubertà, Piumadoro bella e fiorente, inizia a dimagrire.
La sua bellezza non viene intaccata dall’eccessiva magrezza, ma il nonno è costretto ad appenderle quattro pietre alla sottana perché non voli via.
Le fiabe che propongono una protagonista dolce, bella, snella, generano degli archetipi.
Per archetipo si intende una sorta di orientamento psichico; in pratica è la tendenza a formulare idee secondo modelli ereditati dalla nostra cultura. L’archetipo è mutevole e si trasforma con l’evolversi del contesto socio-culturale.
Talvolta questi archetipi si possono radicare a tal punto da non lasciar spazio a reinterpretazioni (senza evolversi al variare del contesto) e danno così origine agli stereotipi. Gli stereotipi sono la parte più negativa e fossilizzata dell’archetipo.
Facciamo un esempio riferito proprio al mondo delle fiabe...
Il “vissero sempre felici e contenti” diviene il giusto e meritato premio dopo la sofferenza.
Tutto questo rappresenta l’archetipo che non vuol essere un modello così fisso e categorico. Lascia spazio a nuove reinterpretazioni per riadattarsi a situazioni diverse, relative a tempi più recenti.
Quindi non è la mera bellezza che conta, ma già nella favola riscritta dai fratelli Grimm si pone l’accento su una Cenerentola che piange nel ricordo della madre e soffre di grande nostalgia. La sua bellezza passa in secondo piano rispetto alla sensibilità e ai buoni sentimenti che animano i suoi gesti.
Invece, lo stereotipo che è un modello fisso e non dinamico, fossilizzato nel tempo, ci porge l’immagine di una donna che punta sulla capacità di seduzione per assicurarsi un futuro promettente accanto a un uomo bello e ricco. L’affermazione della sua identità si estrinseca nell’abbandonare i vecchi stracci e sposare un uomo di potere.
Vorrei puntualizzare che le fiabe entrate a far parte di una tradizione popolare, così antica da essere stata tramandata dapprima verbalmente, non vanno demolite ma vanno presentate ai bambini nel modo più giusto e vanno rilette alla luce del nostro contesto sociale. Determinate figure ed elementi vanno compresi e codificati come i simboli.
La scarpetta simboleggia la femminilità e la raffinatezza; la volpe simboleggia l’astuzia e l’inganno; il lupo simboleggia il pericolo. Quindi, leggendo Cappuccetto Rosso, il messaggio che deve arrivare ai bambini è che bisogna stare attenti ai pericoli e non che bisogna uccidere i lupi.
Le fiabe scritte ai giorni nostri, pur nel pieno rispetto dell’antica tradizione popolare, non dovrebbero tentare di emulare le fiabe classiche. Con un po’ di fantasia, si possono proporre situazioni del tutto nuove che sappiano far scaturire problematiche al passo con i nostri tempi.
Molto spesso, si organizzano laboratori di lettura e di scrittura con i bambini. Diamo degli input per scrivere storie nuove e originali. Basta con i prìncipi che arrivano al momento giusto e ci scodellano una vita da sogno. Basta con la bellezza femminile come qualità essenziale e garanzia di successo nella vita.
In molte fiabe, scritte anche in tempi recenti, la protagonista è sempre bella! Purtroppo, il messaggio che ne consegue, inevitabilmente, è: se non sei bella non sarai protagonista!
Per questo ritengo importante non definire la bellezza in senso stretto, quindi non parlare di mera bellezza esteriore secondo i vecchi schemi.
Fornire un preciso ideale di bellezza finisce per discriminare chi non è così, relegandolo in una sorta di limbo della banalità.
Agli autori vorrei dire: sottolineamo altri aspetti della bellezza. La bellezza della simpatia, del senso dell’umorismo, del sorriso, della capacità di comunicare e di star bene con gli altri.
Agli illustratori vorrei suggerire: dipingiamo altre bellezze, nuove e lontane dagli schemi classici.
Lo scopo del disegno nei libri è quello di fare da catalizzatore rispetto all’attenzione del bambino.
Disegniamo in modo originale, proviamo a raffigurare gli aspetti positivi della personalità, lo spirito ottimista, la forza di carattere.
Quindi, senza voler demolire le fiabe della tradizione, vorrei dire semplicemente che, se oggi intendo realizzare una casa, non progetterò di costruirla in muratura portante, ma la costruirò con pilastri in calcestruzzo e tondini di ferro. Non per questo abbatterò le vecchie case, che anzi salvaguarderò nel rispetto del valore storico-artistico.
Oggi i contesti sono cambiati e tutto ha avuto un suo percorso evolutivo dal quale non si può e non si deve prescindere.
Una fiaba come “Piumadoro e Piombofino” letta senza commenti, rischierebbe di essere deleteria in una realtà come la nostra, dove tra le ragazzine serpeggiano gravi disturbi dell’alimentazione quali l’anoressia e la bulimia. Una favola del genere non solo va commentata, ma dovrebbe divenire lo spunto per aprire un dibattito su certe problematiche di carattere psicologico e per affrontarle prima che diventino gravi e incombenti sullo sviluppo della personalità.
Una bambina che si sente imprigionata in un corpo che non rispecchia i canoni di bellezza che le vengono continuamente proposti, potrà diventare una donna con l’ansia della dieta e il desiderio del bisturi.
Non definire in modo dettagliato la bellezza, o definirla in modi sempre diversi e variegati, lascia ognuno libero di idealizzarla come sente, secondo l’affermazione più saggia “è bello ciò che piace”.
È giusto quindi, alla luce di una società dove si intendono promuovere i valori dell’intercultura e delle pari opportunità per tutti, che ogni bambina/o sviluppi la propria idea di bellezza in base ai gusti personali, senza che gli adulti vadano a ingabbiare la bellezza in un rigido schema col quale poi ragazze e ragazzi saranno costretti a rapportarsi.
Rossana d’Ambrosio
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