lunedì 29 dicembre 2014

La lettura di una fiaba è un momento prezioso da donare ai bambini

Illustrazione di Pucci Violi
La fiaba come momento catartico dell’universo infantile

Un’ampia letteratura dell’infanzia che va da Freud a Piaget ha posto in evidenza l’importanza delle funzioni catartiche (purificatorie e liberatorie), integrative ed evolutive che assume l’attività ludica nei bambini.
Winnicott, sosteneva che il gioco svolge una funzione assai importante nell’economia psichica dell’individuo in quanto permette la scarica di quegli impulsi che, accumulati creerebbero danno alla salute psichica. 
Attraverso il gioco, infatti, il bambino cerca di rendersi padrone di tutte quelle situazioni che gli creano ansia, paura e che per imitazione cerca di ricostruire.


In questo modo, egli dà vita a comportamenti spesso ripetitivi, la cui funzione è quella di rassicurarlo sul fatto che le cose possono svolgersi anche in modo prevedibile e controllabile. Freud chiarisce come sia proprio attraverso il gioco che il bambino passa da uno stato di passività ad uno di attività, attraverso un percorso emozionale che gli offre la possibilità di superare il timore del dover “subire”.
Nella drammatizzazione legata alla sfera ludica, il bambino si serve infatti del proprio dominio sugli oggetti organizzandoli in modo da poter immaginare di dominare anche le situazioni della propria esistenza. Così facendo, gioca a fare qualcosa che in realtà gli è capitato di sperimentare, (ad es. una visita medica fastidiosa), sfogando in tal modo le emozioni trascorse, trovando una compensazione immaginaria alle eventuali frustrazioni vissute  e rafforzando il senso della possibilità di raggiungere una meta al momento improbabile: diventare anche lui grande e potente (in questo caso identificandosi con il suo medico).
La fiaba come momento ludico-creativo si offre come un vero e proprio strumento da donare al bambino per accogliere tutte le sue proiezioni conflittuali legate ai suoi vissuti reali.
Sia l’interpretazione antropologica, sia quella psicoanalitica, confermano l’importanza della fiaba quale portatrice  di un patrimonio che permette al piccolo di riappropriarsi di se stesso e della propria storia.
I bambini hanno bisogno delle fiabe, a volte, anche e proprio nell’ambito in cui queste possono suscitare paura. Ed è proprio anche l’esperienza dello spavento che li può aiutare a prendere coscienza della dimensione  del conflitto, assumendo al tempo stesso una funzione liberatoria delle tensioni angosciose. Ecco allora che il lupo può far meno paura... se mi identifico in lui. 
Il pensiero dei bambini, fino alla pubertà funziona  fondamentalmente in modo animistico, da qui l’importanza di proporre come fattore profondamente educativo l’elemento magico tipico delle fiabe .
Il mondo infantile è dominato da una componente magica che ne permea l’atmosfera esistenziale. È compito dell’adulto saper tradurre i simboli che celano i significati latenti di certi vissuti, che vanno peraltro accolti e rispettati nella loro manifestazione che è tipica  dell’età.
Spesso il nostro rigore razionale e la nostra diffidenza nei confronti del magico ci imprigionano entro schemi che ci impediscono di interagire con maggiore pienezza con il mondo dell’infanzia.
È vero che il bambino deve imparare a prendere atto della realtà, ma ciò non vuol dire che deve assorbirla in modo passivo, anzi deve poter imparare ad acquisire gli strumenti critici nei confronti del reale, al fine di poter progettare un ruolo attivo nella sua evoluzione di uomo. A partire dall’infanzia queste mete si possono raggiungere anche attraverso il contributo pedagogico della fiaba, che è vera espressione di suggestione ma anche del senso del limite. 
I bambini sono veri e propri filosofi, cercano sempre di dare delle risposte ai loro interrogativi ma lo fanno basandosi sul loro pensiero animato e magico. Spesso accadono intorno a loro eventi che si muovono contro una  soddisfazione del loro piacere. Per esempio, un vissuto di abbandono da parte di un genitore o la nascita di un fratellino. Situazioni a cui non può essere data (o comunque non riesce a essere esaustiva) una risposta di tipo razionale. Loro hanno bisogno di una proposta concreta che consenta una soluzione pratica dei problemi, di tipo proiettivo e che li rimandi a fantasie che possano fornir loro una risposta soddisfacente dal punto di vista affettivo e dei desideri.
Dal punto di vista adulto, spesso le risposte offerte dalla fiaba alle domande che il piccolo pone a se stesso e al mondo esterno, possono sembrare fantastiche e non vere, allontanando ulteriormente l’adulto dal modo in cui i bambini percepiscono il mondo. Se dimentichiamo il bambino reale fornendogli risposte adultizzate rischiamo di farlo riprecipitare nei suoi conflitti irrisolti diventando per lui ancora più ansiogeni e preoccupanti.  
La fiaba può fornirci le chiavi per entrare nella realtà attraverso strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo e se stesso. È quindi uno dei mezzi più efficaci per comunicare con lui, per parlare di cose che un discorso diretto e razionale renderebbe assai difficile.
Ovviamente, bisogna prendere coscienza del fatto, che come tutti gli strumenti educativi e terapeutici, anche la fiaba, va proposta in modo coerente con la situazione psicologico-emotiva dei bambini. Come? Sicuramente non esistono ricette, l’importante è saper giocare con il bambino e la fiaba, metterla anche in discussione come in un gioco in cui i pezzi possono essere ricomposti, i personaggi invertiti, reinventati, lasciando via via spazio alle esigenze del piccolo.
Ma allora quale genere di azione dovrebbe svolgere un educatore? Educare è un’arte! E ogni educatore deve saper essere un artista insieme ai suoi bambini.  Saper creare... soprattutto,  relazioni permeate  dall’empatia.
Vorrei chiudere ricordando Rodari “... le fiabe servono alla matematica, come la matematica serve alle fiabe, servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma all’uomo intero e non solo al fantasticatore. Servono proprio perché, in apparenza non servono a niente: come la poesia, la musica, il teatro e lo sport...”

Rita Caggegi, psicologa e psicoterapeuta

Nessun commento:

Posta un commento